C’erano una volta i bisognosi di lavoro e i signori generosi e filantropi; c’erano i padroni e i mezzadri, c’erano imprese capaci e ricche e cooperative di povera gente che si arrabattava come poteva; c’erano il podestà ed il popolo, c’era il parroco che elargiva particole, olio santo e santini. E c’era un’etica non scritta che guidava tanta gente per bene. Chi faceva collezione di incarichi era spesso solo un uomo onesto e generoso che sapeva scrivere e far di conto. Sì, era un altro mondo: ora i ricchi sono di sinistra; erano mezzadri e sono diventati padroni dalle braghe bianche. E allora non resta che bere un bicchiere e guardare le stelle. Ma senza tacere; io, almeno, non ci riesco. A tacere.

Ed eccomi al punto: leggo i giornali e scopro con piacere che finalmente si fa chiarezza su un dubbio che covavo da tempo e di cui a suo tempo avevo chiesto lumi, senza mai ottenere una risposta convincente. Il dubbio mi assalì all’atto di nascita di quella Fondazione che un anno fa intendeva mettere le basi (e poi le mise) per dare al Trentino un nuovo giornale quotidiano. Mi stupì la presenza, fra i fondatori, del rappresentante dei costruttori (Andrea Basso, presidente di Ance, ndr); va bene, mi dissi, se devono costruire qualcosa ci vogliono i muratori. Aspetta e vedrai, mi dissero: “Perchè se bisogna, bisogna”. Ed eccoci alla cronaca di oggi: Germano Preghenella, presidente di CLA (Consorzio Lavoro Ambiente)  conquista il vertice di Polo Edilizia 4.0. Annoto a memoria che gli imprenditori trentini del settore edile, Garbari, Del Favero, Giacca, hanno sempre finanziato le loro passioni sportive; a volte il ciclismo, altre volte il calcio, a volte il nuoto, ma sempre rimanendo rigorosamente ai margini della politica e comunque mai in associazione con la cooperazione. Altri tempi. Altro stile. Oggi, invece, l’impresa cooperativa più potente, il raggruppamento di cooperative nate per supportare il progettone, come si chiamava una volta, e per assorbire le maestranze espulse dai cicli produttivi, dà la scalata al capitalismo (edile) nostrano.

Quando nacque il progettone, le coop si specializzarono in lavori da piccole imprese: il verde, l’ingegneria naturalistica, l’animazione, le indagini ambientali; l’obiettivo che si diedero allora, fu, soprattutto, quello di far ritrovare uno stipendio, ma anche la serenità e la dignità, alla gente licenziata, al popolo industriale che si era perduto. Ecco, questa era la magia del lavoro socialmente utile.

La cooperazione non licenziava, perché viveva di licenziati espulsi da altri comparti. Le cooperative crescevano come funghi, avviate da volontari, spesso insegnanti con l’estate libera, uomini e donne innamorati dell’impegno sociale, pionieri di un nuovo mondo del lavoro, che nasceva come risposta alle contraddizioni lasciate sul campo dall’imponente processo di ristrutturazione industriale degli anni Ottanta. Il mondo cooperativo in quel momento fu attento ai fragili, si sentì sollecitato e provò a farsi carico, d’intesa con la Provincia, di politiche del lavoro attive. Anche questo fu un merito dell’Autonomia. Allora ricoprivo un ruolo di dirigente provincviale e so quanto gli altri territori ci invidiavano e avrebbero voluto imitarci: “Voi – dicevano – tenete pulite le strade, con aree di sosta e panchine ed erbette curate, sentieri in montagna, risanate fortezze belliche, conservate la memoria dei luoghi storici, fate le piste ciclabili e cicatrizzate le ferite delle frane…”.

Quel mondo, tuttavia, ora non c’è più, vittima di una mutazione genetica che ha fagocitato definitivamente anche la cooperazione. E così quel mondo, allora denso di valori e di impegno, nel secondo ventennio del terzo millennio oggi celebra il suo trionfale ingresso nel regno dei cieli dell’impresa capitalistica; l’elezione di Germano Preghenella al vertice dei costruttori che contano, il tutto con la benedizione della politica, suggella questa mutazione del DNA cooperativo e dà l’imprimatur ad un Trentino che volta pagina e si dimentica dei mezzadri, che pure con altro abito  e senza più classe sociale di riferimento, esistono ancora.

È un nuovo mondo, nuovo si fa per dire, dominato dall’etica ottocentesca del sior paron dalla belle braghe bianche. Con buona pace degli ultimi, dei fragili, degli assistiti, dei piccoli camioncini, dell’Apecar del Tullio e della carriola del Bepi. Di questa trasformazione dell’anima e del cuore cooperativo, saranno contenti, ne sono sicuro, anche gli imprenditori puri del settore edilizio che spesso hanno mal digerito le imprese cooperative per i loro percorsi agevolati. Ora il loro comparto sarà guidato da chi questa storia la conosce, cresciuto come è cresciuto in bottega da quando portava le braghe corte; sperando che corta non sia anche la sua memoria, perchè svanita quella notte in cui fu silente, e forse anche complice, al Palarotari.