fragole e sangueNel mentre questo blog si interroga sul come proseguire (che blog sarebbe se non coinvolgesse i suoi lettori) chiamando anche quanti ci leggono e non interagiscono, sul fronte agricolo trentino si registrano comunque novità o meglio, assestamenti di un processo che però non prevede il coinvolgimento dei contadini, degli agricoltori, chiamateli come volete. Non sono all’altezza e, di questo passo, non lo saranno mai. Il “non parlare al conducente”, un diktat qui riecheggiato più volte, si potrebbe nobilitare con il quieta non movere, ma la sostanza non cambierebbe. Gli squali delle acque profonde, quelle che in superficie restano piatte, hanno appena azzannato il bravo direttore di Sant’Orsola cui non è valso il raddoppio del bilancio da quando prese in mano l’organizzazione dei piccoli frutti … del trentino, né i cospicui investimenti già deliberati per far fronte alle esigenze della GDO. Ci vuole altro per soddisfare quegli appetiti ed allora eccone uno che sa come fare, che ha dimostrato sul campo come si fa a trasformare comparti agricoli che valgono l’uno virgola del mercato in player indiscussi ed indiscutibili in fatto di redditività. Gli è che, come diceva Bartali, sul campo è rimasto stecchito il territorio ed anche questo lo abbiamo denunciato spesso. Orbene, se la GDO pretende piccoli frutti tutto l’anno, poniamo le fragole, allora ci sono due modi passivi ed uno attivo per non sparire. I passivi sono di rispondere alle esigenze della GDO interagendo con aree più mediterranee per alimentare l’offerta (con tanti saluti alla trentinità) e/o prolungando il più possibile la coltivazione delle nostre fragole proteggendole nelle serre (con tanti saluti all’immagine ambientale). Gli attivi sarebbero, condizionale d’obbligo, di discutere con la GDO un modello che sembra indiscutibile, ossia il ritorno almeno parziale a consumi stagionali, per avere prodotti agricoli più sapidi e saporiti al posto di rape transgeniche proposte come fragole. A questo punto, ditemi voi come si fa a non pensare a Grillo. Resta il fatto che i nostri negozianti e i nostri ristoratori stentano a veicolare per trentini prodotti che in qualche modo hanno perso nel tempo lo smalto originario, sì quello dell’origine loro. Qualsiasi turista non sprovveduto unirebbe la punta delle dita ed agiterebbe la mano di sbieco chiedendosi … ma ché, sono Jo Condor? come diceva la vecchia pubblicità della Nutella. Con lo stesso marchio, infatti, non si possono (e comunque non si dovrebbe, per rispetto al consumatore) vendere prodotti agricoli di origine diversa anche se formalmente a posto con l’etichettatura. Questa materia, infatti, è frutto di difficili compromessi fra esigenze industriali e buon diritto dei produttori. Cosicché le fragole di Sant’Orsola (‘sta benedetta, non ci dà un occhio?) sono/saranno in parte/talvolta trentine ed altre volte chissà di dove. Insomma, fragole come Pinot grigio. Commestibili certo, benedette pure, redditizie anche. Ed allora, tu blog, cosa vuoi?