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[Via! di Paola Attanasio]

di Massarello – Scrivo dall’estero per commentare la notizia che Cavit s’è comprata la Kessler di Esslingen (Stoccarda) perché l’azienda di Ravina mi sta a cuore non meno della spumantistica trentina. A parte i resoconti nelle pagine economiche dei nostri quotidiani non mi sono accorto di reazioni particolari e me lo spiego sia perché in definitiva non è una mega notizia, sia e soprattutto perché nessuno s’interessa più di niente. E questa è la cosa più grave. Eppure contenuti positivi ce ne sono e sono quelli già evidenziati nel comunicato stampa di Cavit: avevamo i soldi perché abbiamo amministrato bene e dovevamo dare una risposta al surplus di produzione di Chardonnay cosicché abbiamo acquisito la Casa spumantistica Kessler che fa un milione di bottiglie per cinque di fatturato. In un Paese, la Germania, che di suo stappa da decenni parecchi milioni di bottiglie di spumante all’anno. Detta così, sembrerebbe proprio il caso di stapparne un’altra, per festeggiare, incrementando i consumi. Per quel che se ne sa la realtà mi sembra un po’ diversa e comunque non tale da incidere per subito e significativamente sui bisogni trentini. Vediamo alcuni perché. Prima di tutto Cavit subentra sì nella proprietà con il minimo indispensabile (50.1%) che le permetterà di imporre il nostro Chardonnay sfuso nell’approvvigionamento di Kessler, ma la qualità dovrà tener conto di prezzi tiratissimi e le quantità dovranno essere bilanciate con i base Riesling del portafoglio prodotti di Kessler. Ciò significa che per quanto si incrementi il numero di bottiglie, il drenaggio di Chardonnay trentino resterà lontano dal dare tranquillità ai nostri viticoltori. Non potendo chiamarsi Trento, quel vino porterà quindi una denominazione o un’indicazione o una marca senza grandi ricadute per il nostro territorio. Ben che vada, sarà business per l’azienda trentina che del resto si è mossa con la riservatezza di un industriale puro. Evidentemente a qualcuno dev’essere tornata alla mente la tragica gestione dell’operazione Mionetto, primario prosecchista (quando il Prosecco doveva ancora esplodere) il cui acquisto era stato inopinatamente bloccato dall’ottusità di funzionari e assessori che avevano saputo. Pensando al Prosecco che parte oggi da Ravina ci sarebbe da mordersi le mani e tagliare la lingua a qualcuno. Vero è che con Kessler Cavit torna a mettere un piede sul più importante mercato europeo, ancorché partendo da un’area, quella sveva, nota per tirchiaggine e scarsa propensione al consumo di prodotti “foresti”. Del resto sono viticoltori pure loro. L’opposto, insomma, di Monaco di Baviera che detiene i record sia nei consumi di birra che di vini, stranieri in primis. Bisognerà inventarsi qualcosa per convincerli ad un Kessler italianizzato. Kessler, infatti, è sì lo storico produttore di metodo classico tedesco, ma è da sempre molto focalizzato sul territorio d’origine, come si evince anche dal comunicato stampa emesso in contemporanea alla notizia data a Trento e che ho rapidamente tradotto (qui). Un’attenta lettura permette di capire molto, come molto si capisce visitando il loro sito internet. A parte che è datato anche se informa che in questi giorni sono chiusi per inventario, mi ha sconvolto il richiamo in apertura, ripetuto a scanso di equivoci anche nelle pagine successive, che ne scongiura la visione ai minori di 18 anni, con tanto di motivazioni quasi fosse un sito porno! Conoscendo i tedeschi, certi tedeschi, non ci sarebbe da meravigliarsi, ma farsi carico di combattere l’alcolismo giovanile essendo la più antica Casa spumantistica mi fa sorgere la domanda: lo hanno fatto perché convinti di essere più colpevoli dei birrai o per pura piaggeria volta ad intercettare spiriti sensibili? Lo reputo comunque un grave errore di comunicazione che la dice lunga sul tipo di lavoro che spetta alla dirigenza di Cavit, soprattutto se l’obiettivo sarà quello di espandersi nelle grandi metropoli tedesche. Detto che l’operazione l’ha fatta Cavit come industria, senza coinvolgere nessuno degli sbandierati 4500 viticoltori, mi sarebbe piaciuto di più se il soggetto trentino fosse stato Altemasi o come decideranno di chiamare l’azienda specializzata in spumanti che prima o poi dovrà affrancarsi dalla Casa madre ed assumere le sembianze di un’impresa “privata” in grado di competere con i privati che caratterizzano il mondo delle bollicine. Ma questo è un discorso che riguarda “loro” come industriali dello spumante, mentre ben diverso è il discorso che riguarda le 11 Cantine sociali e i 250 mila quintali di Chardonnay che annualmente cercano una bottiglia nella quale infilarsi. Calcolate voi quanti milioni di bottiglie ordinare in vetreria, perché a venderlo sfuso, lo Chardonnay di collina non lo coltiverà più nessuno.