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Leggo e scrivo fra un caffè e una sigaretta, mentre aspetto un treno che mi riporterà sotto i cieli di Trento.

Leggo sull’edizione on line di Trentino Quotidiano, che domani a Rovereto, nei pressi del Mart, qualcuno inforcherà gli sci per esibirsi in temerarie acrobazie su una pista ammantata di neve di plastica. Non neve artificiale, ma neve di plastica, il candido materiale si chiama infatti “neveplast”. Non so cosa sia e non lo voglio nemmeno sapere. La neve, di plastica, in città. Mentre in montagna la neve naturale, quest’anno sembra avara.

Mi chiedo che idea di Trentino, e di territorio, ci sia dietro queste cose? Quale incubo o delirio o calcolo  può indurre qualcuno (con la benedizione dalle istituzioni, come si capisce dall’immagine pubblicata sul quotidiano di oggi) a pensare che ovunque si possa fare tutto e il contrario di tutto, al di la del contesto. E contro il contesto. La montagna in città. E la città in montagna: penso ai Suoni delle Dolomiti, ai grandi concerti da stadio che durante l’estate, da una decina d’anni a questa parte, infrangono e  inquinano il silenzio delle vette trentine. Penso alla recente apertura di un McDonald’s giusto all’altezza della “porta meridionale del Trentino” (espressione usata nei giorni scorsi dal neo assessore all’Agricoltura e al Turismo Michele Dallapiccola, per rappresentare la Vallagarina), di quel Trentino che cerca di accreditarsi come paradiso del Km0, della filiera corta, della casetta di Heidi, dei mille marchi eco-bio-friendly-sostenibili e tutto il resto. E’ la strana e aberrante ideologia del tutto e del contrario di tutto. Che, alla fine, temo non porti da nessuna parte.

A qualcuno non viene il dubbio che, forse, la destrutturazione di un profilo identitario, e territoriale, passa anche per azioni dalla forte carica simbolica, e violentemente eversivia, come queste?
Di che cosa è figlio questo sovversivismo culturale, fondato sulla non-idea dell’indistinzione e dell’indifferenza, anche rispetto al carico semantico delle parole? Che fa il paio con i vigneti di Pinot Grigio che hanno ricostruito violentemente il profilo della Val d’Adige, violentando e sacrificando le colture tradizionali? Che fa il paio con il TRENTODOC di montagna, che in realtà, al contrario, è un TRENTODOC di mezza collina o di pianura. Solo domande, senza risposta, mentre un treno sta arrivando al mio binario.