Fattucchiere - Paola Attanasio
Fattucchiere – Paola Attanasio

«Abbiamo perso troppi anni ad arrampicarci sugli specchi degli autoctoni, è stata un’iniziativa fallimentare», siccome siamo in tempi di quaresima e non di carnevale è un esercizio davvero difficile attribuire il tenore della buona fede ad una dichiarazione come quella contenuta in questo virgolettato. Dichiarazione rilasciata al quotidiano “Trentino” in pieno Vinitaly dall’uomo forte ed emergente di Consorzio Vini del Trentino, come risposta al giornalista che gli chiedeva conto del perché, secondo le risultanze di una ricerca Nomisma, la visibilità del vino trentino presso i consumatori, all’estero sia scivolata al penultimo posto in graduatoria rispetto alle altre regioni vinicole nazionali e in Italia, addirittura, all’ultimo posto.

E’ faticoso, dicevo, accordare la qualità della buona fede ad un’affermazione che attribuisce le ragioni del disastro trentino (se l’analisi di Nomisma è attendibile) agli autoctoni trentini. Ma ci provo. Provo a smentire, con i numeri, questa affermazione. Immaginando che chi l’ha pronunciata, in buona fede, si sia lasciato prendere la mano (non so da cosa). O non abbia capito la domanda.

Da trent’anni a questa parte, infatti, nessuno in Trentino si è arrampicato sugli specchi degli autoctoni. Che, al contrario, sono pressoché spariti dalla fisionomia ampelografica e varietale trentina. Lo certifica il funereo rapporto sulla vendemmia 2013 prodotto da Consorzio Vini: (Teroldego, 7,3 %; Marzemino, 2,8 %; Schiava, 2,6 %; Lagrein, 1,9 %; Nosiola, 0,55 %; Enantio, 0,37 %; Rebo, 0,34 %; Moscato Rosa, 0,03; Groppello di Revò, 0,001 %). Attribuire a questa cimiteriale insignificanza numerica una responsabilità fatale per il settore vitivinicolo, mi pare avventuroso. Azzardato. Perfino divertentemente provocatorio. Ma siamo in quaresima.

Non ho motivi per dubitare dei risultati della ricerca di Nomisma – che però non ho letto -, citata dal giornalista. Ma se le conclusioni dello studio scientifico sulla visibilità dell’enologia trentina sono queste, delle spiegazioni, questa volta plausibili, ci sono. E non stanno, però, nella presunta responsabilità tumorale degli autoctoni (che, abbiamo visto, sono ininfluenti), quanto piuttosto nell’aver scelto consapevolmente di associare l’immagine del Trentino vinicolo al posizionamento di fascia bassa dei vini (per lo più di origine non trentina: Venezie, Valdadige, Provincia di Pavia) distribuiti dai grandi imbottigliatori provinciali. Qui sta il nodo. E non in un nemico (gli autoctoni) che non c’è. Che non esiste. E che, tuttavia, qualcuno, a quanto pare, immagina di utilizzare ancora come alibi buono per ogni stagione. E soprattutto come alibi per perpetuare l’errore trentennale che ha portato all’annichilimento della reputazione territoriale del Trentino.

Mi permetto ancora una nota a margine. L’articolo citato in precedenza si conclude con un’altra dichiarazione perentoria, che suona come una ferale minaccia, attribuita all’uomo di riferimento di Consorzio Vini: «…dobbiamo far diventare il Trentino la terra della viti-enologia sostenibile». Ohibò, l’enologia sostenibile. Che parolona. Che scoperta. Mi si perdonerà il tono vagamente ironico, ma certe volte restare seri è complicato. L’obiettivo della vitivinicoltura sostenibile, ammesso che poi qualcuno ci spieghi bene di cosa si tratta, è una modalità ormai scontata, quasi un presupposto, di cui si sta facendo pratica e teoria in tutto il mondo civilizzato e anche in quello non civilizzato. Un obiettivo a cui tendere per restare dignitosamente sul mercato del cibo. Ma non può essere considerato un elemento di distintività a cui affidare il compito di resuscitare la visibilità di un territorio. Semplicemente perché è’ una modalità che presto o tardi, più presto che tardi, accomunerà tutti. E infatti non c’è territorio, oggi, che non cerchi rifugio, almeno a parole, nell’artificioso Make up della sostenibilità. Dalla Valpolicella alla Doc Prosecco. Dal Piemonte alla Sicilia. Per restare nei confini nazionali. E molti di questi territori, penso soprattutto alle regioni meridionali del Paese che godono di un oggettivo vantaggio climatico, sono già molto, ma molto, ma molto, più avanti del Trentino. Vogliamo confonderci di nuovo nell’affollato caos di quelli più bravi di noi, come abbiamo fatto quando ci siamo immolati alle varietà internazionali? Allora avanti tutta. Avanti con questa parola d’ordine: sostenibilità. C’è posto per tutti. Con la certezza di diventare, anzi di restare, dei signori Nessuno. Amen.

Fonte Infografica: Quotidiano L'Adige - 20 Novembre 2013 pg. 9
Fonte Infografica: Quotidiano L’Adige – 20 Novembre 2013 pg. 9