Ammetto che mi ha fatto un certo effetto vedere le etichette varietali marchiate Tavernello fra le mani di una bella sommelier addetta al banco di mescita. E ammetto che mi ha fatto un certo effetto anche vedere accostato il brand più popolare di Caviro al salotto buono e fighetto del FAI, il Fondo italiano per l’Ambiente. Con cui recentemente il gruppo cooperativo romagnolo ha stretto un rapporto di partnership e di sponsorizzazione.

E ammetto anche, infine, che non ho mai bevuto un bicchiere di Tavernello. Semplicemente non mi è mai capitato. Ma mi capiterò senz’altro.

Dopo l’effetto sorpresa, tuttavia, devo dire che questo accostamento non mi è affatto dispiaciuto. In fondo, e lo sappiamo tutti, il vero vino degli italiani è questo. Queste sono le fasce di prezzo accessibili ai consumatori, quando decidono, ogni giorno, di accompagnare i loro pasti con il vino. E quindi va bene così: è giusto che Tavernello, et similia, esca dal ghetto culturale in cui è rimasto confinato fino ad oggi e rivendichi legittimamente il suo peso e la sua popolarità diffusa.

Una ricerca Nomisma – Wine Monitor datata 2014 ci informava che la composizione del consumo off trade di vino rosso per fascia di prezzo in Italia era questa: fino ad un euro 12,2 %, da uno a due euro 26,9 %, da due a tre euro 25,3 %, da tre a cinque euro 27 %, sopra i 5 euro 8,6 %. Percentuali simili anche per il consumo di vino bianco.

Con i suoi prezzi (poco più d euro per il cartonato e vicino ai tre euro per il varietale in bottiglia),Tavernello si colloca nella fascia centrale di consumo. E allora mi sta bene anche Tavernello per il FAI. E con il FAI. Servito con professionalità da eleganti sommelier.