Ha parlato. Il direttore-consulente di Trentodoc, Fabio Piccoli, finalmente ha accennato una timida risposta alle nostre domande impertinenti. Lo ha fatto di rimbalzo, sul quotidiano L’Adige di oggi. In realtà, le domande continuano a restare senza risposta. Piccoli, però, ha spiegato ai lettori le ragioni del suo silenzio: “Le mie opinioni personali non sono  necessariamente rappresentative delle posizioni del consiglio che, rinnovato meno di quattro mesi fa, sta proprio mettendo a punto le scelte strategiche”. Bel detto. Però, ci permettiamo di chiarire che se avessimo voluto il parere del CdA, avremmo chiesto un’intervista al presidente Zanoni; se l’abbiamo chiesta al direttore-consulente, invece, è perché eravamo, e siamo, interessati ad un punto di vista tecnico non politico. Troppo difficile da capire? Mah. Tuttavia, a parte questo, la “confessione” di Piccoli, ci suggerisce un’altra domanda: quali sono i poteri conferiti a questo direttore-non-direttore, che invoca l’autorizzazione dei suo datore di lavoro anche per rilasciare un’intervista tutto sommato modesta ad un modestissimo blog di campagna?

Sull’ Adige di oggi, infine, Piccoli ne approfitta per autocertificare la  “passione” (e ci mancherebbe altro che non fossero appassionati), sua (del giornalista veneto) e del suo presidente (del manager cremonese), per il Trentodoc. Oddio, nessuno ha mai messo in dubbio il sincero entusiasmo dell’establishment trentodocchista per il nostro metodo classico. Sia chiaro. In una delle nostre domande (qui), invece, evidenziavamo la brillante assenza dei trentini nell’asset di comando dell’Istituto. E ce ne chiedevamo la ragione. Per essere ancora più chiari, la domanda non era “perché a dirigere il Trentodoc ci siete voi?”, ma “perché non ci sono i trentini?”. Insomma la domanda, caro dottor Piccoli, era un’altra. Ma proprio un’altra. E alludeva ad un problema che consideriamo centrale – e ci dispiace che lei non lo abbia capito o abbia fatto finta di non capire –: in Trentino, a nostro parere, esiste una questione seria che afferisce alla formazione delle classi dirigenti. E non solo per il Trentodoc. Il dibattito di questi giorni sulla successione a Diego Schelfi (presidenza di FederCoop) e anche a quella di Lorenzo Dellai (presidenza della giunta provinciale), lo sta lì a testimoniare. Invece di provare a prenderci sul serio, lei, ci perdoni l’espressione, la butta in vacca e ci racconta dei suoi avi che scesero a Verona dalla valle dell’Adige. Notizia interessante: ne terremo conto quando ci occuperemo di araldica. Per il momento, però, continuiamo ad interessarci, appassionatamente, di Trentodoc. Avi, suoi e nostri, permettendo.

Qui l’articolo apparso oggi a pagina 9 del quotidiano L’Adige