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Nasce con questo primo post, una nuova rubrica di Trentino Wine: Le degustazioni invisibili. Esercizio enoparaletterario frutto dei convegni d’amorosi sensi fra Cosimo Piovasco di Rondò e Viola Violante d’Ondariva. Non ce ne vogliano sommelier e wine lover, enologi ed enoparrucconi, se talvolta il racconto apparirà dissacratorio e disinvolto. Il vino, per fortuna, è anche un gioco. Deve essere un gioco: alcolico e onirico. E questo è il gioco surreale e divertito di Viola e di Cosimo. La firma, naturalmente, è quella di Viola, perché la scrittura, quando è davvero scrittura, è femminile. Buona lettura!

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di Viola Violante d’Ondariva – Sembrava una delle tante, e spesso noiose, degustazioni a cui noi, che scriviamo di vino, siamo costretti a partecipare con puntuale regolarità. Una di quelle serate dominate dall’asettica liturgia del naso nel bicchiere, obbligati per mestiere a scovare improbabili fragranze di more di rovo e sentori di cuoio. E talvolta anche di interiora di cinghiale e di topo morto.

Mentre m’intrattenevo con un collega, anche lui come me, perfettamente calato nella magica atmosfera delle enoillusoriesuggestioni, il rumore di zoccoli di ferro di un cavallo al galoppo squarciò il silenzio; silenzio, che fino a quel momento, era l’unico suono udibile. In maniera sincrona tutti ci voltammo incuriositi, dopodiché la porta si spalancò come in un saloon del Far West.

Entrò un marziano, vestito in maniera barocca, a cavallo di un’enorme e fiammante bottiglia di vino. L’enovettura aveva, al posto delle ruote, 4 tappi di sughero e sul fianco una scritta a caratteri cubitali: Cretino Doc. L’abbigliamento dell’enocavaliere era, come tutto il resto, inusuale, ma la cosa che più saltava agli occhi era il grande cucchiaio, il tastevin, che gli penzolava sul petto attraverso una preziosa e luccicante catena in silver plated. Ciò che più lasciò gli spettatori senza fiato fu, però, lo strano animale che Django portava a guinzaglio: una vecchia e consunta bara di legno, che vedremo poi, essere la vera risorsa del nostro eroe.

Sotto lo sguardo attonito degli astanti, l’uomo, che poi avremmo scoperto chiamarsi Django, scese dal suo cavallo turbo 4 tappi (modernissimo mezzo di locomozione che utilizzava come carburante solo pregiate uve danesi in fermentazione), si spolverò la giacca e i pantaloni sgualciti dal viaggio e lucidò la carrozzeria del suo cavallo ialino. Si avvicinò al banco d’assaggio e la degustazione poté, finalmente, avere inizio. (Continua)

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