caldaro cavit

Alzi  la mano chi ha bevuto un bicchiere di Caldaro di origine trentina nell’ultimo anno. O negli ultimi due anni. O tre o quattro. Dunque? Siete pochi. Credo. Personalmente, a me non capita da un paio d’anni. Il Caldaro imbottigliato in Trentino è un vino pressoché sparito. Non esiste: 120 mila bottiglie certificate nel 2014.
Eppure la Caldaro – o Lago di Caldaro con tutte le sue variegate traduzioni tirolesi – è la prima denominazione di origine di cui si è dotato il Trentino vinicolo (1970) e soprattutto è una di quelle denominazioni che si sono mosse fin da subito in chiave rigorosamente territoriale; una scelta ideologica che subito dopo fu parzialmente tradita: arrivarono infatti il Terodego Rotaliano e il Trentino varietalizzato.
La Caldaro, inoltre, portava in sè qualcosa di estremamente moderno nella visione politica di fondo: il superamento di una definizione esclusivamente amministrativistica dei confini; nacque infatti come Doc interprovinciale, ripartita fra Trentino e Alto Adige. Qualcosa di estremamente coraggioso e originale per quell’epoca: erano gli anni successivi al Los von Trient, lo slogan dinamitardo che avrebbe portato di lì a poco (1972) al secondo statuto di autonomia, la svolta che ridimensionò pesantemente il ruolo della Regione TAA e aprì la strada alla divaricazione sempre più profonda fra Trento e Bolzano. Ed è anche qui che si spiega il percorso travagliato di questa DOC, una lunga storia di contenziosi e controversie che si trascinarono per molti anni, sino a giungere davanti alle sedi della giustizia europea. Ma questa è una storia che, se avrà voglia di farlo, ci racconterà un’altra volta l’amico Angelo Rossi, che di quella vicenda, come di tante altre, è stato uno dei protagonisti di primo piano.
Nacque, la Caldaro, sulla spinta delle pressanti esigenze economiche di  quel tempo: dare una sistemazione commercialmente dignitosa al mercato della Schiava – perché è di questa varietà che stiamo parlando: Schiava Grigia, Schiava Grossa e Schiava Gentile – che da secoli, insieme alle Ambrusche, costituiva il cultivar prevalente del Trentino.

Anche in questo caso, come accadrà per la Doc Casteller, le cose ad un certo punto presero un’altra piega: nel 1990 il vigneto destinato alla Doc Caldaro misurava ancora 500 e rotti ettari, nel 2010 erano solo 130. Nello steso anno le bottiglie erano ancora 1 milione e 600 mila, nel 2014 erano crollate a poco più di 100 mila.

Il Trentino, nel frattempo, aveva scelto di andare da un’altra parte rispetto alle coltivazioni tradizionali. Un percorso opposto e contrario a quello intrapreso e consolidato dalla medesima DOC in provincia di Bolzano, dove la Schiava resta anche oggi la varietà d’uva più coltivata. E dove i vini prodotti con la denominazione Caldaro riescono ancora a posizionarsi prestigiosamente sul mercato; con prezzi all’origine che, pur in coda alle altre Doc Sud Tirolesi, risultano ancora dignitosamente fissati sul livello medio della DOC Trentino. Il prezzo alla produzione della Lago di Caldaro di lingua tedesca, nel 2015 (Fonte Ismea) si è fissato a poco più di 165 euro/ettolitro.

Ma questa, appunto, è la storia dell’Alto Adige e della piramide performativa delle sue denominazioni. Non la storia, e nemmeno l’attualità, del Trentino.

E il vino, come è? Come è il Caldaro (trentino)? Come avvertivo in apertura del post, capita sempre più raramente di imbattersi in una di queste bottiglie. L’ultima che ricordo è un’etichetta di Cavit con l’indicazione alla tedesca – 2013, se non ricordo male -. Bevuto con amici, in un pomeriggio d’estate, sui tavoloni di un’osteria all’aperto, apparecchiati per una lunga e corposa merenda di salami e Vezzena, di giardiniera e lucanica, ché questa è la morte sua, del Caldaro. Un vinino, che più lo butti giù e più ti tiri su. Piacevolmente.

Il colore è il consueto rubino, il naso è di fragoline mature, in bocca è fresco, scivola via, un’acidità gradevole. Leggermente amarognolo alla fine, ma gradevolmente amarognolo e poi via un altro bicchiere. E’ il tipico vino da lunghe merende, durante le quali spegni il cellulare per non farti rompere le palle dalla morosa (o dalla mamma); quelle merende da compagni di merende che cominciano appena dopo pranzo a arrivano a cena e ogni tanto ti alzi giusto per far pipì. E stai bene così. E va bene così. Anche grazie al Caldaro.

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Il DISCIPLINARE

Origine del nome

L’Oltradige, il cuore della zona della DOP „Lago di Caldaro“ o „Caldaro“ e uno die simboli
della tradizione enologica dell’Alto Adige , si estende dalle pendici della Mendola alle colline
del versante occidentale della Valle dell’Adige tra Bolzano e Termeno. Appiano e Caldaro,
due comuni viticoli per tradizione, sono quelli con l’estensione più ampia della provincia. Il
Lago di Caldaro conia il paesaggio conferendogli un’atmosfera mediterranea. Oltre
all’Oltradige la zona della DOP „Lago di Caldaro“ o „Caldaro“ si estende in parte anche in
alcuni paesi limitrofi della provincia di Trento.
Nel grazioso paesaggio lungo la Strada del Vino, i vigneti già da secoli hanno condizioni
perfette. Al nord, le alpi formano un bastione che tiene lontano il vento freddo e dal sud il
clima mite mediterraneo si fa sentire. Almeno 15° C di temperatura media servono al vino per
maturare bene.

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KaltererSeePanoVonAltenburg” di Hubert Berberich (HubiB) – Opera propria. Con licenza CC BY 2.5 tramite Wikimedia Commons.

Uve

Il vino «Lago di Caldaro» o «Caldaro» deve essere ottenuto da uve provenienti in ambito
aziendale dai vitigni Schiava grossa e/o Schiava gentile e Schiava grigia.
Possono essere presenti nei vigneti, per la differenza fino al 15% altri vitigni a frutto di colore
analogo idonei alla coltivazione nelle province autonome di Bolzano e di Trento.

Dove

Tale zona – che
comprende in parte i territori dei comuni di Caldaro, Appiano, Termeno, Cortaccia, Vadena,
Nalles, Andriano, Magrè all’Adige, Egna, Montagna, Ora e Bronzolo in provincia di Bolzano ed in parte i territori dei comuni di Roverè della Luna, Mezzocorona, Faedo, San Michele all’Adige, Lavis, Giovo, Lisignago e Cembra in provincia di Trento

Rese

La resa massima di uva ammessa alla produzione del vino di cui all’art. 1 non deve essere superiore a t 14 per ettaro di vigneto in coltura specializzata. Fermo restando il limite massimo sopra indicato, la resa per ettaro di vigneto in coltura promiscua
deve essere calcolata, rispetto a quella specializzata, in rapporto alla effettiva superficie
coperta dalla vite. A detto limite, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovrà
essere riportata attraverso un’accurata cernita delle uve, purché la produzione non superi del
20 per cento il limite medesimo.
Le province autonome di Trento e Bolzano, con proprio decreto, su proposta del Consorzio di
tutela, sentite le organizzazioni di categoria interessate, ogni anno prima della vendemmia
può, in relazione all’andamento climatico ed alle altre condizioni di coltivazione, stabilire un
limite massimo di produzione inferiore a quello fissato, dandone immediata comunicazione
all’organismo di controllo.
5Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare al vino «Lago di Caldaro» o «Caldaro»
un titolo alcolometrico volumico naturale minimo del 10,00%vol e dell’11,00%vol per la
tipologia con la qualifica «scelto» (in lingua tedesca Auslese). In annate con andamento
climatico particolarmente sfavorevole le province autonome di Trento e Bolzano, di comune
accordo, con deliberazioni delle rispettive giunte provinciali, possono ridurre, con esclusione
della tipologia “Lago di Caldano” classico superiore, il titolo alcolometrico volumico naturale minimo nella misura massima dello 0,50%vol.

Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate all’interno delle zone di produzione
delimitate nel precedente art. 3.
Tuttavia tenuto conto delle situazioni tradizionali di produzione è consentito che tali
operazioni siano effettuate nell’ambito dell’intero territorio delle province autonome di
Bolzano e Trento. La resa massima dell’uva in vino non deve superare il 70%.
Qualora la resa superi i limiti suddetti, ma non l’80%, l’eccedenza non ha diritto alla
denominazione di origine controllata «Caldaro» o «Lago di Caldaro», ma può essere presa in
carico, se ne ha i requisiti, come vino. Oltre questi ultimi limiti decade il diritto alla
denominazione di origine controllata per tutta la partita.
È ammesso l’arricchimento alle condizioni e nei limiti previsti dalla normativa comunitaria in
vigore.

Caratteristiche

«Lago di Caldaro» o «Caldaro» (anche con la menzione classico):
colore: rosso rubino, da chiaro a medio;
odore: delicato, gradevole, caratteristico;
sapore: morbido, armonico, leggermente di mandorla;
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol;
acidità totale minima: 4,0 g/l;
estratto non riduttore minimo: 18,0 g/l.
«Lago di Caldaro» o «Caldaro» classico superiore:
colore: rosso rubino, da chiaro a medio;
odore: delicato, gradevole, caratteristico;
sapore: morbido, armonico, leggermente di mandorla;
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol;
acidità totale minima: 4,0 g/l;
estratto non riduttore minimo: 18,0 g/l.
«Lago di Caldaro» scelto in lingua tedesca «Kalterersee Auslese» (anche con la menzione
classico):
colore: rosso rubino, da chiaro a medio;
odore: delicato, gradevole, caratteristico;
6sapore: morbido, armonico, gradevole, leggermente di mandorla;
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol;
acidità totale minima: 4,0 g/l;
estratto non riduttore minimo: 18,0 g/l.
«Lago di Caldaro» scelto in lingua tedesca «Kalterersee Auslese» classico superiore:
colore: rosso rubino, da chiaro a medio;
odore: delicato, gradevole, caratteristico;
sapore: morbido, armonico, gradevole, leggermente di mandorla;
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol;
acidità totale minima: 4,0 g/l;
estratto non riduttore minimo: 18,0 g/l.