La bozza del nuovo disciplinare della DOC TRENTINO, che sta per concludere il suo iter approvativo, contiene alcune innovazioni che considero positive, lo ho già scritto ieri a proposito della tutela della Schiava e della Schiava Gentile. Fra queste, senz’altro, il riconoscimento della Sottozona Valle di Cembra.

Gli amici cembrani, testimoni e protagonisti dei 708 Km di muretti che inanellano e blindano la loro magnifica vallata di montagna se lo meritano. E’ un riconoscimento che hanno cercato, costruito, voluto e alla fine ottenuto. Il nuovo disciplinare, purtroppo, non si spinge fino in fondo e resta ancorato, ancora, ad una impostazione varietalistica di matrice tedesca, ma il primo passo è stato compiuto.

La nuova Sottozona si aggiunge ad altre, piccole, realtà che fino ad oggi, tuttavia, non hanno avuto fortuna – e le ragioni si possono immaginare, ma ne scriveremo più compiutamente in un altro momento -: Sorni, Marzemino d’Isera, Marzemino dei Ziresi e Castelbeseno. La Cembra, almeno per i volumi che potrebbe riuscire a muovere e per il carattere cocciutamente tenace degli abitatori della Valle, si candida, almeno sulla carta, a diventare la prima esperienza di territorialità concreta e significativamente agita dentro il perimetro della DOC TRENTINO.

Salire le scale - Paola Attanasio
Salire le scale – Paola Attanasio

Però, questo non basta. Mi sarebbe piaciuto che l’impianto  del nuovo disciplinare fosse segnato costitutivamente, un po’ come quello della DOC ALTO ADIGE, da un gioco complesso e articolato di zonazioni territoriali identificative e capaci di valorizzare le biodiversità di cui il Trentino è ricco. La butto lì e faccio un esempio concreto: perché non immaginare, insieme al vino di Cembra, anche un vino di Roverè della Luna – o più semplicemente della Luna – dedicata al Pinot Grigio. Ad un grande Pinot Grigio, grande dalla campagna alla cantina, come senz’altro sarebbero capaci di fare da quelle parti, per sapere, per tradizione, per ambiente, insomma per terroir? E così via per gli altri pezzi di Trentino, la cui immagine oggi è soffocata dall’appiattimento generico sulle varietà mercificate, adatte sì all’industria del vino ma fatali al territorio.

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